Eccomi di nuovo nel mio tunnel. Ho dei geniali slanci di personalità audace e molti altri appiattimenti di umore. Mi sento ombra, sagoma, quando invece dovrei essere certa della mia tridimensionalità. Dovrei gridarla con tutta la forza di cui sono capace.
Paura. È una parola troppo ricorrente nei pensieri recenti. Come anche ossessione. Ancora una volta è una voce lontana che viene a prendermi la mano. Quando, invece, so che chi mi sta vicino sarebbe pronto ad attutire la mia caduta, se proprio non può impedirla. Io volto le spalle e mi rifiuto di ascoltare. Fuggire per paura di non essere capiti, per paura di fallire, di non essere all’altezza, di non riuscire a lasciarsi andare.
“I suffer with pride”
Ma non c’è orgoglio in una sofferenza auto-inflitta. Il vittimismo non deve essere premiato. Un amico che ha incrociato la mia strada per brevi istanti prima di volare in Tulipania, mi direbbe di smetterla di piangere e di darmi da fare se non sono soddisfatta. Probabilmente non userebbe queste parole, ma altre più dure, meno educate ma senza dubbio efficaci. Ed io gli darei ragione, ma continuerei a ripetere che non ce la faccio.
Il mio rifugio è una stanza enorme e piena di luce. Con le finestre semi aperte, i vetri splendenti e le tende bianche. Un grande letto, comodo, accogliente. Nero, con le lenzuola tutte bianche. Un quadro sulla parete della testata. Libri, appunti e riviste sparsi sul letto e ammucchiati a lato. Un sorriso. E poi silenzio.
“Enjoy the silence”
È spaventoso pensare che nelle mie giornate non ci sia mai silenzio. In nessun posto, in nessuna situazione. Solo quando dormo chiudo fuori i suoni e i rumori; forse sono davvero libera solo in sogno.
“And I thank you
For bringing me here
For showing me home
For singing these tears
Finally I’ve found
That I belong here.”