Over the rainbow

Sono distratta. Perdo il contatto con la realtà. Ma a volte anche con me stessa. E questo è anche peggio.
E come oggi finisco con l’incazzarmi per cose che non hanno molta importanza per me, magari per altri sì, ma non per me. E non mi piaccio proprio quando faccio così.
Poi come in risposta ad una richiesta telepatica, mi arriva una telefonata da Lisbona che mi ricorda la MIA scala di valori. Una telefonata che mi avvolge in un dolce abbraccio. Mentre immagino la dottoressa Rò che cammina per le stradine di Pessoa mentre mi racconta della sua minuscola mansarda con la finestra sul Tago. E mentre mi sento trasportata accanto a lei ritrovo anche la mia bussola personale.

“It’s hard to tell that the world we live in is either a reality or a dream”*

Questa è la frase che appare su schermo alla fine di un bellissimo film che ho visto stasera per la prima volta.
Silenzi che cantano. Immobilità danzante. Ombre che si colorano. Figure che si dissolvono.

E torno a sorridere. Nel mio mondo. Ascoltando la voce di Édith Piaf e immagino di avere un grammofono posato sulla cassettiera. E poi la musica classica. Non so nulla di musica classica ma la mia vita mi sembra più bella quando aggiungo delle pennellate di musica classica. Sia quelle intense e scure che quelle frizzanti di colori accesi.

Lascio accesa la musica e apro un libro. Da sola, ma non più sola. Nel mio mondo fatto di pensieri, fotografie impresse nella mente, parole scarabocchiate su un blocco di fogli a righe, candele profumate.

* 3-iron di Kim Ki-Duk

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